- C’è nessuno qui? Ehi, svedesi!
- Non sono svedesi Mac, sono norvegesi…
(MacReady, Copper – La Cosa)
Tornerà un altro inverno
Cadranno mille petali di rose
La neve coprirà tutte le cose
E forse un po’ di pace tornerà.
(Bruno Martino – Estate)
- Preso contatto con qualcuno?
- ‘Preso contatto con qualcuno’? Abbiamo il nulla per mille miglia intorno amico, e le cose continueranno a peggiorare non certo a migliorare, purtroppo!
(Garry, Windows – La Cosa)
Revolution starts at home, preferably in the bathroom mirror.
Example? Winter always comes too soon. This year was the worst I can remember, except when I was five years old. Pushed open the front door, got lost in the snow.
(Bob Mould, dalle note di copertina di Warehouse: Songs and Stories)
Fa freddo. Fa molto freddo. E la neve, anche. Tempeste di neve che in Siberia al confronto si sta in crociera. Manca solo un adeguato accompagnamento musicale. A quello provvediamo noi: ecco dieci dischi da ascoltare soprattutto in questo periodo, perché il freddo è uno stato della mente ma quando fuori fa meno venti gradi aiuta.
KATATONIA – Brave Murder Day
D’inverno si soffre meglio, e Brave Murder Day in questo è il più funzionale: un disco da tirare fuori assieme ai maglioni in naftalina appena arrivano i primi freddi, lacerante come geloni sulla carne fresca, ottundente come il torpore che precede l’assideramento, è il capolavoro irripetuto di una band che ha saputo essere immensa nel declinare in musica le diverse sfumature del ghiaccio. Funziona uguale anche a ferragosto, ma con le attuali congiunture climatiche è la colonna sonora migliore che si possa desiderare.
UNHOLY – Rapture
Il freddo è la distanza tra questo corpo fatto di carne e sangue e la morte, Rapture un tramite tra i più incisivi e temibili di sempre. È come sperimentare l’agonia, una riproduzione virtuale del momento in cui il corpo si raffredda dopo avere esalato l’ultimo alito di vita, però da svegli. Dischi come questo sono un’arma capace di mandare in briciole il sistema nervoso; pubblicarlo è stato un folle atto di devozione, subirlo dall’inizio alla fine ancora oggi puro masochismo. Chi vuol morire lentamente?
IMMORTAL – Blizzard Beasts
O svegliarsi un giorno a Capo Nord. Non so se è il loro disco migliore (a me comunque piace moltissimo), di sicuro è quello che più rende l’idea di FREDDO, a partire dal titolo e da pezzi come Nebular ravens winter, Suns that sank below, Mountains of might, Winter of the ages, Frostdemonstorm: basta la parola. È anche il più veloce e caotico, come se registrarlo così sia stata una scelta obbligata, del tipo continuare a muoversi o morire congelati (o almeno così mi è sempre piaciuto immaginarlo). Boreale.
DARKTHRONE – Transylvanian Hunger
Già sai com’è qui. Roba che porterebbe il permafrost anche alle Bahamas. Come dire che il giorno di Natale cade il 25 dicembre: banalone, ma inevitabile.
MISERY LOVES CO. – Not Like Them
Scaglie di ghiaccio cibernetico, il suono di una metropoli del futuro immersa nella neve quando sognare futuri lontani era ancora un esercizio praticabile (l’anno era il 1997). Il concetto di “freddo” applicato all’industrial metal in una maniera che nemmeno i Godflesh: loro ti trituravano il cuore, ma questi erano capaci di abbassare istantaneamente di quaranta gradi la temperatura della stanza. Il riff di It’s all yours resta tra le cose più gelide mai partorite da una mente umana, la cover di Complicated game degli XTC una stalattite di ghiaccio conficcata nel cervello, Them nails l’istantanea di un manicomio sull’Everest col riscaldamento guasto e per la fine del disco le dita dei piedi vi saranno diventate blu come il povero cristo accasciato in copertina.
MASTER’S HAMMER – Šlágry
Probabilmente il disco più strano che ho ascoltato in tutta la mia vita. Nenie per pianola Bontempi ed effetti assurdi, titoli che grazie al traduttore di Google solo ora riesco a identificare come Andiamo a Betlemme, Gli orrori della canzone indiana, Ricordo i bei vecchi tempi (il contenuto è all’altezza della descrizione), riletture di un’aria del Nabucco e uno studio di Carl Czerny: mindfuck totale. È la follia del barbone semicongelato all’angolo della strada, il freddo che attanaglia la mente, non riuscire più nemmeno a pensare. Roba pericolosissima per le prossime notti sottozero.
IN THE WOODS… – Heart of the Ages
Come prendere un acido, smarrirsi nel bosco in pieno inverno e fare la fine di Jack Nicholson in ‘Shining’, il tutto senza muoversi da casa. Loro la droga ce l’avevano in dotazione: non si facevano fotografare, pochissime interviste e dal vivo suonavano perennemente avvolti da una coltre di fumo per non distrarre l’ascoltatore dal “richiamo della natura”… I dischi successivi sono ancora più sballoni e sfattoni, ma questo è il più invernale di tutti. Mai troppo rimpianti.
MY DYING BRIDE – 34,788%… Complete
The whore, the cook and the mother è musica d’ambiente per astronavi disperse nel cosmo, The stance of evander sinoue una specie di Iron man criogenizzata, Der überlebende la solitudine che assale l’unico abitante di una torre di controllo in Antartide, Heroin chic una versione cheap e tossica dei Portishead ma senza la noia nera, Apocalypse woman possibile hit-single su Plutone, Base level erotica sottofondo per nightclub scavati nel ghiaccio, Under your wings and into your arms l’equivalente sonoro di un lungo bagno nella baia di Ross. Il disco ‘controverso’ dei My Dying Bride è ancora oggi un UFO freddissimo e imprendibile, musica che sembra sia stata registrata dopodomani su una stazione orbitale abbandonata. Seguirà il prevedibile ritorno all’ordine; una resa disonorevole.
MONUMENTUM – Ad Nauseam
Perché il freddo, quello vero, sa essere qui, in fondo al mio cuore di sbarbo. Roberto Mammarella è l’uomo dell’inverno perenne dell’anima, e Ad Nauseam un disco che l’anima te la strappa via come il vento siberiano riduce a brandelli un foglio di carta velina nella tormenta. È l’ultimo scatto di volontà prima di cedere, stremati dalla fatica, al sonno che precede la morte per congelamento, quell’attimo di lucidità in cui ci si trova a dover fare i conti con la qualità del vissuto, sperando di venirne a capo prima dell’oblio finale. Irriferibile, glaciale e spietato come un tavolo autoptico al Polo Nord.
CODEINE – The White Birch
Non è metal e non c’entra manco di striscio col metal, ma è il disco più gelido che ascolterete mai. Non esiste altra band al mondo che sia riuscita a ricreare l’essenza stessa della più violenta delle tempeste di neve con il solo ausilio di una chitarra, un amplificatore e qualche pedale, e come suonano le chitarre qui è un suono che non sentirete da nessuna parte (eccetto, forse, nei recessi più lontani della mente durante una passeggiata notturna a Prospect Creek). In un certo senso The White Birch non è nemmeno un disco, è il resoconto più fedele in musica delle fasi finali dell’ipotermia. (Matteo Cortesi)
