A dispetto delle indicazioni fornite nella puntata precedente, e con una Confederations Cup ormai nel vivo, torna ContrAppunti Prog, la rubrica col più alto tasso di ambiguità ideologica. Vi ricordo che qui non troverete dettagliate disamine sui valori dei vinili che avete trafugato a genitori e parenti e neppure nostalgiche dissertazioni su quanto si stava meglio quando i treni viaggiavano in orario. Oggi parleremo di tre dischi usciti nel 1972 – o meglio, tre dischi realizzati nel 1972 – anno di svolta per il movimento prog italiano, preludio a quello che sarà il (breve) periodo di massima espressione creativa dell’intera scena.
Controverso destino quello degli Alluminogeni, gruppo torinese che ruotava intorno alla figura del tastierista/cantante Patrizio Alluminio. Invisi da un’ampia frangia di critica e pubblico e bollati come facili e superficiali, costretti ad oscillare tra tentazioni commerciali e sperimentazioni, non si può certo dire che siano riusciti a trovare il definitivo bandolo della matassa neanche con Scolopendra, primo (e ultimo) trentatré giri della band. Il disco raccoglie tutte le contraddizioni di un gruppo che, nei due anni precedenti, era riuscito a passare dallo space rock di Dimensione Prima a cose imbarazzanti come Troglomen, colonna sonora del capolavoro trash Quando gli uomini armarono la clava e con le donne fecero din don, con Nadia “il culo più bello del mondo” Cassini come protagonista. Tormentato da una presunto mixaggio deciso arbitrariamente e contro il parere del gruppo, per rendere il disco più commerciale, Scolopendra scivola via in modo piuttosto anonimo per tutta la prima metà, con tanto di strascichi beat in Che fumo c’è, per poi giocarsi tutte le carte migliori nella seconda parte. Thrilling e Pianeta, indubbiamente i due brani migliori composti da Alluminio e compagni, rifanno il verso addirittura agli Jacula, immersi in un’atmosfera più spaziale che esoterica, sempre sorretti dall’hammond, autentica colonna portante di tutto l’impianto sonoro dei torinesi. Della band si sono poi perse le tracce fino ai primi anni novanta, quando, con la formazione quasi al completo, ristampano Scolopendra e pubblicano due dischi di inediti. Da sei anni circola voce di un presunto, nuovo, ritorno con un triplo cd, che per il momento è stato anticipato da un ep passato completamente sottotraccia, intitolato Metafisico.
Qualsiasi utente di questo sito che abbia vissuto a Roma e dintorni tra gli anni ottanta e novanta non potrà non ricordare Ottava Nota, trasmissione dedicata soprattutto all’hard rock e all’heavy metal, in onda sulle emittenti regionali e condotta da un Richard Benson ancora lontano dal diventare quell’impresentabile icona trash che è oggi. Eppure, avere quello che, senza falsa modestia, si autodefinisce “il miglior chitarrista della storia della musica”, non ha portato molto bene ai Buon Vecchio Charlie, se è vero che il loro unico lavoro è rimasto in soffitta per quasi vent’anni prima di vedere la luce nel 1990, sull’onda del primo revival del prog settantiano. In realtà all’opera definitiva vennero aggiunti due brani registrati insieme al cantautore Beppe Palomba (sul quale non ho notizie. E, dal momento che non ne ha neanche mio padre, grande esperto di tutto ciò che io non avrei mai ascoltato se fossi vissuto negli anni settanta, inizio a dubitare che sia mai esistito davvero), uno molto più orientato verso la ballata strappalacrime (Rosa), l’altro decisamente più folkeggiante (Il guardiano della valle), assolutamente gradevole ed in pieno stile De Andrè ma completamente avulso rispetto al contesto dell’album. Un album che non aggiunge moltissimo alla produzione italiana dell’epoca ma mette comunque in luce un gruppo di musicisti tecnicamente preparati ed una sezione ritmica particolarmente presente, come testimonia l’iniziale Venite giù al fiume, sorretta dal basso di Paolo Damiani. Se si trascura l’eccessiva eterogeneità del disco e la sensazione che sia una sorta di saggio per fotografare lo stato dell’arte della band, rimane un disco godibile, assai meno influenzato dai Jethro Tull di quanto l’utilizzo massiccio del flauto possa far intendere.
JUMBO – DNA
Se la misura della grandezza di un disco fosse misurabile soltanto dalla sua capacità di guardare avanti ed anticipare il futuro, DNA sarebbe un capolavoro ancora più grande di quanto già lo sia effettivamente.
“È brutto sentirsi vecchi,
se gli anni che hai sono così pochi.
Sentire il bisogno di stare seduti,
sdraiarsi per terra e dormire soltanto,
sognare di fare cose grandiose,
che poi in fondo non ti senti di fare.”
Ovvero, sintetizzare in una sola strofa la morte sul nascere delle reali ambizioni di un intero movimento controculturale ma, al tempo stesso, racchiudere quello spirito tipicamente italico del progettare di compiere titaniche imprese, purché poi ci pensi qualcun’altro a metterle in pratica. DNA degli Jumbo contiene forse i testi più corrosivi, ricercati e genuinamente polemici che tutta la scena prog sia riuscita a produrre nella sua fugace esistenza. Non a caso, proprio i testi (non solo di quest’album ma, soprattutto, del successivo Vietato ai minori di 18 anni?) furono la causa dello scioglimento del gruppo, emarginato da qualsiasi circuito radiofonico ed impossibilitato a promuovere la propria musica. Un autentico scandalo perché, testi a parte, il gruppo milanese proponeva un rock dalla matrice blues sul quale svettava la voce dell’istrionico cantante Alvaro Fella, la cui timbrica ruvida ed originale contribuiva in modo determinante a creare un’atmosfera unica, un po’come ascoltare un vecchio ubriacone che esponele sue teorie in modo talmente allucinato che alla fine non gli si può non dare credito. Da riscoprire e riascoltare, a cominciare dalla lunghissima Suite per il signor K. che, nell’arco dei suoi venti minuti, ci preannuncia i sintomi di una catastrofe etica, prima ancora che economica, esplosa nel decennio successivo e che vive oggi la sua massima espressione.
p.s. Su youtube non esiste né un video unico con l’album intero né una playlist, per cui muovete un dito e andatevi a cercare DNA da soli su Spotify, che tanto si trova.
