In occasione del numero 100, Rolling Stone ha pubblicato una lista dei “cento dischi italiani più meritevoli di finire in una lista con cento dischi italiani”, come ha scritto Kekko, che ha ripreso il giochino su Bastonate meritandosi peraltro lode e stima per aver tirato in ballo i Laghetto. Ritengo le classifiche un trastullo autoreferenziale e masturbatorio, pertanto mi piacciono tantissimo. Ho quindi fregato lo spunto al nostro collega cesenate e chiesto agli altri di stilare un elenco di dischi italiani che significhino qualcosa per loro, mantenendo come regola di base che ognuno facesse un po’ come cazzo gli pare. Inizia Teo, che ha pure avuto l’idea del nome. (Ciccio Russo)
RATS – Indiani Padani (1992)
Spilamberto, primi anni novanta. Basterebbero queste coordinate per spiegare tutto l’universo concettuale dei Rats, gloriosi cantori della vita di provincia come ce ne sono stati pochi. Pantaloni di pelle e puzza di gasolio, i pomeriggi passati in garage a smanettare sulla moto sognando la highway 66, i Guns’n'Roses nelle orecchie e nel cuore, Modena la grande metropoli. Gli intenditori preferiscono l’esordio C’est Disco (1981, new wave da sabato pomeriggio allo Small con la morte dentro) e schifano tutto il resto, io quand’è uscito Indiani Padani ero un regazzino e li ricordo con grandissimo affetto.
ELECTROCUTION – Inside The Unreal (1993)
Di poche cose sono certo nella vita: l’acqua è bagnata, un giorno morirò, e Inside The Unreal è il più grande disco di death metal italiano di sempre. Quest’ultima affermazione potrei ripeterla anche a casa di Peso, salendo su un tavolo con i miei anfibi militari.
PAUL CHAIN – Life and Death (1989 – ristampa Minotauro 1996)
Uno dei momenti-chiave della mia esistenza: avevo i soldi per un solo CD e la scelta era tra questo e Holy Land degli Angra. Guardando indietro oggi mi rendo conto che deve essere stato un po’ come in Superbad quando Fogell deve scegliere il nome da mettere sulla patente falsa ed è indeciso tra Mohammed e McLovin. Vedi alla voce “separare il grano dalla crusca”. Ma poi tutti i suoi dischi almeno fino a Hemisphere non dovrebbero mancare in ogni collezione che possa definirsi tale. Quanto è alto il rispetto che proviamo verso quest’uomo.
EVERSOR – September (1996)
Posso solo compatire chi non ha vissuto almeno parte dell’adolescenza con questo disco come colonna sonora; in un certo senso non è nemmeno musica, piuttosto un best of di tutto quello che dovrebbe essere la vita. Li ho amati così tanto gli Eversor che ancora non riesco a trovare le parole per dirne, e oggi è come ieri: ascoltare questo disco è sempre un pugno al cuore. Non è metal? Sticazzi: guardate chi lo ha prodotto.
CAZZODIO – Il Tempo Della Locusta (1998)
A parte 92 minuti di applausi per il moniker più geniale di sempre, non so se è il miglior disco di power electronics italiano, di sicuro è il mio preferito. La combo Gabbia di ferro / Vivisecting a priest manda a casa chiunque, e sottolineo CHIUNQUE, da Atrax Morgue a Maurizio Bianchi a qualunque altro dissociato smanettone vi possa venire in mente. Chissà che fine ha fatto.
NENIA – La Casa Del Dolore (2000)
Altro must assoluto per fulminati, sociopatici, deboli e umiliati. È roba che trasformerebbe all’istante in una tetra villa padronale abbandonata, diroccata e abitata solamente da spiriti maligni anche il Cocoricò la sera di Ferragosto. Dopo avere ascoltato questo tutto il catalogo Cold Meat Industry lo potete pure bruciare. Incredibile ma vero: un estasiato Gianni Della Cioppa gli diede 9/10 su Psycho! Ricordo che, sul momento, il mio cervello cessò repentinamente di ricevere ossigeno.
COLLOQUIO – Va Tutto Bene (2001)
La bomba atomica, l’M4 Sherman, il Graf Zeppelin dello stare male. Se non riuscite a farla finita, questo può essere un valido aiuto; viceversa, se la vita vi sorride non esiste una sola ragione al mondo per cui pensare anche solo di avvicinarvi a questa roba. Infatti non so come mai sono ancora vivo, è un mistero… (Matteo Cortesi)
