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italianoChitarra [Nunzio Lamonaca]

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(italianoChitarra raccoglie i piùdi5menodi10 dischi italiani a cui ognuno di noi è più legato affettivamente)

Io non so se ho dei veri dischi generazionali italiani. Atomo per atomo, sentimento per sentimento, mi vien più facile pensare a canzoni generazionali. O a film generazionali. Quindi l’ideale al massimo sarebbe una bella colonna sonora generazionale. Ecco, di quelle ce ne ho più d’una ma non le nominerò sennò mi venite a casa e mi sprangate sulle gengive. Vi dico solo che, troppo giovane per godermi Trainspotting appena uscito nelle sale, ripiegai qualche anno dopo su un Trainspotting di provincia. Stop.
Sui dischi uno sforzo lo faccio volentieri anche se so che dovrò ridurre a paramnesie quelle che forse non sono mai state vere passioni adolescenziali o simili.

BANCO DEL MUTUO SOCCORSO – st (1972)
Ecco, io ho divorato letteralmente un bel disco come questo (ma anche il successivo Darwin). Ero piccolo, inconsapevolmente attratto dalle sonorità pesanti ma ancora non mi riconoscevo nell’ultraviolenza che di lì a poco mi avrebbe travolto. C’erano queste cassettine, c’erano questi barbuti freakettoni amatriciani. Non c’erano poi così tanti scatoloni ‘in cantina’ pieni delle vecchie frustrazioni dei miei genitori, no. C’era solo grande musica ad un passo dallo stereo, tutta a portata di mano e non sapevo neanche come ci fosse capitata. Quindi un giorno infilo questa raccolta in cassetta e in poco tempo recupero e scopro i primi tre grandi dischi del Banco. Questo fantastico esordio e anche il successivo concept sulle varie tappe onto- e filogenetiche dell’uomo trasfigurate nella teoria evoluzionistica di Darwin. Una fanfaronata in puro stile freak ma che voce, fratelli. E che atmosfere. E che tappeti tastieristici. Ok, gli Area erano ben altro ma per me all’epoca c’era solo la bella gola di Di Giacomo, mica gli istrionismi di Stratos. Solo a pensarci mi vengono i brividi.
A sedici anni ascoltavo anche Mental Funeral dieci volte al giorno, ma questo solo per ricordarvi che il romanticismo è fatto di estremi pericolosi, ecco. Me lo ricordo come fosse ieri. Gita col resto della classe di liceo. Tappa obbligatoria al negozio di dischi. Becco Mental Funeral con lo sticker intimidatorio di Kerrang! che dice qualcosa come “Il disco death metal più bello da quando ci siamo dimenticati di quell’altro sticker su chissà quale disco…”. Lo faccio mio, penso. In bus sulla strada del ritorno ero già in piena possessione. Ecco, per un fatto di completezza amarcord vorrei citare anche un bel raccoltone sempre su cassetta del mitico Gaber. Questo lo macinavo in cuffia addirittura sin dalle elementari, sempre in gita. Ma andiamo troppo indetro nel tempo.

INDIGESTI – Osservati dall’Inganno (1985 – ristampa 2010)
Questo sì che è un disco veramente generazionale. Certo non ha segnato la mia generazione, non quella di gente come me che prima della recentissima ristampa se l’è dovuto sorbire in mp3 (non si era già più adolescenti) ma io me ne fotto. Il Group Sex all’italiana, va’. Volendo, pure con qualche aggiunta di Husker Du e qualche puntata sui primi 7 Seconds, per completezza. Un capolavoro. Io che salto non appena il feedback di chitarra lascia spazio a quell’intro cazzutissimo di Silenzio Statico. Un trip lungo tutto il disco fatto di spasmi del mio corpo (estraneo) nel denso vuoto della stanza. Altissimi salti verticali e rallentati come se fossi su un tappeto elastico. Un tuffo tra la folla. Fischi e microfoni schiantati al suolo. Mi riprendo ed è sempre la solita vita di merda.
Per rimanere in tema cito pure lo split con i Wretched. Un disco di neanche dieci minuti, ma forse neanche sette, cinque. A memoria. All’epoca avevo forse meno di vent’anni. Non molto tempo fa, insomma, ma di umana sofferenza e vita ne è passata tanta nel mezzo. Non vi tedio con gli avvenimenti post-adolescenziali più o meno tesi/sereni del periodo e neanche punto tanto sul fattore quasi terapeutico che può aver giocato il caos comunardo dei Wretched, sarebbe troppo. Ma alternare quello split agli Smiths in quel preciso periodo della mia vita non mi creava mica disturbi, sapete? Due balsami, ma che funzionavano al contrario.

KINA – Se ho vinto se ho perso (1989)
Sulla scia dei ricordi ci infilo pure un gran disco (minore?) dell’hardcore italiano. Voi ridete pure ad ascoltarlo (‘Ma che cazzo di accento hanno? Ma come cantano?’) ma poi ditemi quanti altri Kina ci sono stati in Italia, chi altro abbia mai tentano sonorità meno convenzionali del solito tupa-tupa. Altro disco mandato a memoria. Talmente bello che a volte me lo sparavo pure in palestra (e qui si scoprirebbero pure risvolti omoerotici, ma preferisco non cedere alle provocazioni che ne derivano, anche se è dura ammettere il confronto con Ciccio che in palestra ascolta i Nabat), quando in palestra ancora ci andavo, alternandolo a Cycles dei Rotten Sound e a Live The Storm dei Disfear. Se fate due conti siamo a  circa cinque anni fa. Poi, siccome in piscina le cuffie ti fulminano il timpano (avevo nel frattempo abbandonato l’ambiente alla Taxi driver delle palestre), mi sono dovuto sorbire i quattro quarti della dance più tamarra in diffusione. Quando farò pugilato, pilates o ginnastica pre-parto ascolterò, non so, I Cugini Di Campagna per chiudere un cerchio.

CRIPPLE BASTARDS – Desperately Insensitive (2003)
Se ne parla poco e a ragione se è vero che risulta sempre duro il confronto tra una pietra miliare e un gran disco succedaneo. Come appunto dimostra il difficile rapporto tra Misantropo e Desperately Insensitive dei Cripple Bastards. Che dire? Una sola cosa. Quando uno pensa a dischi generazionali italiani veramente tira sempre la solita cinquina di nomi quasi TUTTI ANNI NOVANTA, anche con il problema di dover accostare una Cristina Donà “qualsiasi” (tra l’altro, grande ritorno quello di Torno a Casa a Piedi del 2011) a certi infimi Litfiba (eh eh) o addirittura al Consorzio. Ma la verità sapete qual è? Che il decennio 2000-2010 ha fatto schifo AL CAZZO. Sì, possiamo pure prendere dischi “di genere”, belle tavolate di produzioni indipendenti (pop, metal, non importa) anche notevoli, ma il confronto non regge. È crollata tutta un’industria, girano troppi pochi soldi nel verso giusto, per dirla brutta-brutta. Si parla tanto di musica alternativa e di circuiti indipendenti in senso amplissimo ma la verità è che non sono rimaste che (nobilissime) briciole. E allora persino Le luci della centrale elettrica per me possono sembrare una gran scoperta, anzi pure una bell’ancora di salvezza, altro che pigliare per il culo Vasco Brondi ogni due per tre. Grande esordio il suo. Pertanto è già un miracolo che un disco di fine millennio come Misantropo a senso unico non affossi del tutto una grande prova di stile come Desperately. E soprattutto è per me un notevole fattore d’imbarazzo dover ammettere che la mia adolescenza è prima di tutto la vostra adolescenza. Voi fratelli maggiori, voi miei amici anche otto-dieci anni più grandi, voi vecchi scribacchini di MS. Io mica ce li avevo i dischi che ascoltavate voi da adolescenti freschi di stampa. Li ho recuperati tempo dopo. E mi sono perso quello che succedeva nel frattempo (la storia della mia vita). Desperately è un gran disco, tant’è che a riprova di quel che ho scritto non ho mai comprato Misantropo, ma comprai a scatola chiusa Desperately (perché però sapevo com’era fatto Misantropo, eh!). In due parole: se Misantropo è sangue e sputo, Desperately è fegato e bile. Puro e semplice. Più lucidità, più crudo cinismo. Sociopatia. No, non la dico quella parola antifemminista perché non voglio cedere alle solite polemiche sul sesso degli angeli, ma si parla anche di quello, volendo. Un pugno duro come legno nodoso. La band che passa da certo crust-grind ad una formula più omogenea (è anche il motivo per cui molti preferiscono Misantropo). L’ultimo pezzo fa paura. Il Giulio più incazzato di sempre.

TRE ALLEGRI RAGAZZI MORTI – Piccolo Intervento a Vivo (1997)
Rintracciare tutti i dischi dei primo vagito pop-punk (o indie rock?) dei Tre allegri è un po’ difficile se non sei di Pordenone, non hai più di 30 anni e non hai vissuto lo sgretolamento dell’underground italiano di fine anni novanta. Ecco, io sono pugliese, ho 26 anni e a fine anni novanta forse neanche i Kiss conoscevo. Giusto per dire. Quindi sarebbe più corretto riferirmi ad un disco come il successivo Mostri e Normali (capolavoro) o La Testa Indipendente, ma il culto più sincero si consolida proprio con il disco d’esordio dal vivo, autentico set da festa che in me richiama sempre i più profondi e sereni ricordi di quando avevo 14-15 anni. Fanculo il disco, vi parlo di quando ero ragazzino che in momenti del genere non può fare che del gran bene, va’ (mondo dimmerda). Amici che vedi solo l’estate, amiche che rivedi solo per 5 giorni a luglio, accenti strani e oscure mode linguistiche, prime birrette e dischi cassette poster magliette mai ascoltati o visti prima. Un attico bellissimo, candele a terra, tavoli pieni di cibo spazzatura per adolescenti pieni di spumeggiante testosterone. Parte Quindiciannigià, segue Fortunello, prosegue Batteri. Ed è tutto un saltellare in giro per la stanza, urlare ai tamarroni che passeggiano per il corso, lanciare ogni cosa contro tende e tendoni. Fidanzatini che limonano tarantolati, nerd che scolano birre in un sorso e ci scommettono sopra di tutto, lanci di cipolle e vomitate a spruzzo. Girano le prime sigarette (giuro, solo sigarette), squillano campanelli, esplodono lampadine. Piangono ragazzine in preda a ridarelle isteriche. Ad oggi non esiste un solo momento che abbia eguagliato quello straordinario ed emozionante baccanale. Ed è stato così per tanti lunghissimi giorni estivi, nel corso degli anni cruciali giusti, con la gente giustissima, altro che i party di Janis Joplin.
Siamo tutti allegri ragazzi morti. Sempre più morti alcuni, sempre meno ragazzi altri. Quelli come me, morti al momento giusto.

FINE BEFORE YOU CAME – Sfortuna (2009)
L’ultimo disco lo descrivo veramente in due righe perché qui si rischiano randellate sul serio. Molti di voi non sapranno manco di cosa parlo. Bhe, solo poche parole: post-hardcore rallentato e polveroso, emocore più prosaicamente quotidiano che spregevolmente intimista (ma quanti hanno abusato di questa cosa?), cori a voce piena e polmoni colmi di fumo e fetore di sudore. Qui non servono davvero parole. (Nunzio Lamonaca)



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