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italianoChitarra [Ciccio Russo]

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(italianoChitarra raccoglie i piùdi5menodi10 dischi italiani a cui ognuno di noi è più legato affettivamente)

CRIPPLE BASTARDS – Misantropo a senso unico (2000)
Più passa il tempo, più non posso campare senza questo album. Né potrebbe essere altrimenti. Perché i Cripple Bastards non li puoi comprendere a vent’anni. Li puoi apprezzare, certo, ma non li puoi comprendere davvero. Perché non hai ancora preso abbastanza calci in culo. A trenta invece sì. Una volta entrato nel mondo del lavoro, passato attraverso relazioni sentimentali serie, visto altri andare avanti a furia di compromessi che tu non accetterai mai (un numero, una divisa, un qualsiasi lavoro di merda, a voi va bene quello perché siete solo quello), scorri quei testi – tra i più belli, profondi e umani che abbia mai letto – e capisci.

Chi invece non ha capito un cazzo è chi ancora è in grado di considerare Giulio The Bastard un disturbato misogino, sociopatico e fascistoide, che equivale un po’ a credere che i My Dying Bride siano dei depressi clinici che passano tutto il giorno a leggere Keats sorseggiando Porto e flagellandosi come dei numerari dell’Opus Dei. Ci sono momenti in cui la realtà appare esattamente come viene dipinta in queste liriche, esplosioni (o implosioni, dipende) di rabbia e frustrazione allo stato puro che ogni essere umano conosce. Momenti brevi e fulminanti come i brani in cui i Cripple Bastards riescono a congelarli. Momenti in cui ascoltare questa band è necessario alla conservazione del proprio equilibrio mentale quanto uno Xanax pochi secondi prima di un attacco di panico. Non conosco nulla che abbia su di me lo stesso potere catartico.

Giulio non lo sa ma un paio di volte mi ha salvato la vita. Perché tanto nichilismo e tanta negatività sono soprattutto l’altra faccia della medaglia di una disperata e inesausta voglia di vivere.

Questa gente mi sembra triste anche quando si diverte
Questa gente mi sembra malata anche quando sorride
Questa gente mi sembra sterile, non riesce più a inventare
Questa gente mi sembra inutile perché non riesce più a vivere

NERORGASMO – LP (1993)
“La nostra società ha assorbito tutto quello che c’era da assorbire dal nazismo tanto è vero che i viaggi in Volkswagen, le vacanze e la vita come la facciamo noi adesso è quella che era stata programmata allora. E i nostri lager sono il terzo mondo lontano dagli occhi e lontano dal cuore… Quindi la gente che si scandalizza di fronte ad una croce uncinata messa al collo per provocazione dovrebbe fare un pochino più attenzione a quello che gli gira intorno e alla vita che fa, perché se vogliamo guardare la nostra società è tutta nazista” (Luca Abort).

Uno dei dischi più neri e raggelanti della storia dell’hardcore. Un suono inconfondibile. Chitarre nervose e sbilenche. La pulsazione irregolare di un basso sfuggente e stordito. Oscuri umori new wave. Puzza di morte, quella che nel 2000 abbracciò il cantante Luca Abort, stroncato da un’overdose di eroina. I suoi testi si incidono nella carne viva con una lama arrugginita e infetta e il suo approccio lirico ha avuto un’influenza tangibile su quello degli stessi Cripple, tant’è vero che tra le cover contenute in Frammenti di vita la più impressionante e sentita è proprio quella di Tutto Uguale:

Siete così piccoli, tristi e noiosi/ Voi non siete niente per me/ Pezzi di vetro, schizzi di sangue/ Tutta la rabbia che non hai

Tu non puoi capire/ Io voglio solo farti male/ E ciò che mi circonda/ È tutto uguale, tutto uguale

Me ne frego di sapere come riempi il tuo tempo/ Fanno ridere le cose che fai/ Quando giocate voi avete già perso/ Condannati a non vincere mai

Pasolini in Salò preconizzava il mare di merda nel quale saremmo annegati, mangiandocela con gran gusto e facendo pure scarpetta, in quegli anni ’80 che in Italia non sono mai finiti davvero. I Nerorgasmo lo solcano e lo raccontano con una crudele lucidità che fa ancora più male quando i testi spostano l’obiettivo dal sociale al personale:

Anche questo pezzo un paio di volte mi ha salvato la vita.

La FOAD ha fatto uscire da poco un boxset che contiene pure un Dvd con il Live all’El Paso. Accattatevillo, se non è già esaurito.

SADIST – Above The Light (1993)
Un capolavoro. Prodotto da Alberto Penzin degli Schizo e registrato a Catania con i buoni uffici della Nosferatu Records (il mio mailorder preferito di sempre), anche riascoltato oggi non ha perso un’oncia della sua bellezza e continua a lasciare esterrefatti per personalità e ispirazione. Poi Andy lasciò temporaneamente la formazione e il pur ottimo Tribe che ne seguì era assai meno originale, più vicino ai canoni del techno-death classico. O forse, più semplicemente, dischi come Above The Light ti vengono una volta sola nella vita. Poi se ne andò anche Peso e per me i Sadist smisero semplicemente di esistere.

EXTREMA – The Positive Pressure (Of Injustice) (1995)
Questi all’epoca spaccavano sul serio. Rispetto a Tension At The Seams il suono è inevitabilmente panterizzato ma il disco ha le canzoni. This Toy e Money Talks buttano giù i muri e anche gli episodi più crossover (in Tell Me c’è pure il sax) funzionano alla grande. Poi ho smesso di seguirli. Erano l’unico gruppo che veniva a suonare con regolarità in Sardegna ed era sempre una festa. Una volta durante On Your Feet On Your Kness GL Perotti mi passò il microfono. Stavo cantando tutti i testi a memoria.

EXCRUCIOR - Pyramus et Thisbe (1996)
Uno dei miei album feticcio più assurdi. Venivano da Bologna (o Faenza?), si sono prodotti questo disco da soli e poi sono spariti nel nulla. Suonavano death/doom con testi ispirati a Ovidio e Catullo ed erano davvero bravi. Ci ero entrato abbastanza in fissa e costringevo tutti ad ascoltarli. Splendida la title-track, con un ritornello con voce femminile da brividi. Fu colonna sonora di un viaggio in macchina dove finimmo a Siliqua invece che a Chia perché Mauretto aveva avuto la sciagurata idea di farmi tenere la cartina stradale.

INCHIUVATU - Addisiu(1997)
Black metal cantato in dialetto siculo con strumenti tradizionali in ossequio a quell’atavismo localista che è tra i pilastri filosofici del genere. Agghiastru è uno dei grandi geni incompresi della scena nazionale. All’inizio si era inventato una vera e propria Mediterranean Scene ma in realtà era quasi sempre lui sotto un altro moniker, sintomo di una creatività in quel momento inesauribile. Avvincente dall’inizio alla fine, ferale e soave al tempo stesso: non c’è un singolo brano che non sia memorabile, anche se noi ragazzacci all’epoca amavamo molto scherzare sul testo porcellone della (bellissima) Ave Matri. Il miglior disco black mai pubblicato in Italia.

KURNALCOOL - Stand By Vì (1998)
Ne ho già parlato. Quando dico che sono tra i miei gruppi preferiti sono serissimo. El tempo de juventì canzone della vita.

"Ehi, ci devi una pomiciata"

PUNKREAS – Paranoia e potere (1995)
I tre ingredienti fondamentali di un’adolescenza felice sono la birra, i tromboni e le ragazzine disinvolte. Dato che al mare per far colpo sulle suddette ragazzine non potevi tirare fuori gli Stratovarius, lo ska-punk era quello che metteva d’accordo un po’ tutto lo sgargiante campionario di sfascioni con i quali condividevi l’intera giornata.

Cito i Punkreas giusto perché erano quelli che avevano il maggior spazio nel repertorio di chitarra da spiaggia. Ma avrei potuto tranquillamente mettere gli Shandon, i Meganoidi o i Persiana Jones. Tutti gruppi dei quali vi saprei citare svariati testi a memoria. Non che ‘sta roba mi piacesse davvero, però era molto più divertente cantare i Punkreas in spiaggia con la birra, i tromboni e le ragazzine disinvolte che stare chiuso in cameretta a leggere Baudelaire con gli Anathema di sottofondo.

TIMORIA – 2020 Speedball (1995)
I sovrani assoluti del succitato repertorio da chitarra da spiaggia, nonché l’unica band che in gita scolastica metteva d’accordo tutta la classe. Eravamo troppo giovani per essere dei veri fan dei Litfiba, all’epoca già sputtanati, quindi avevamo i Timoria. Sono più legato a Viaggio Senza Vento ma, da bravo concept album, aveva troppi riempitivi. 2020 Speedball, invece, è all killer no filler, oltre che pazzescamente eclettico. In questo disco c’è di tutto: chitarroni, ballate strappalacrime, bizzarre contaminazioni e inequivocabili rimandi al metal che ci facevano prendere sul serio Omar Pedrini quando diceva che Storie Per Vivere inizialmente doveva essere un album hard rock tostissimo ma poi si era messa di traverso la produzione. Sono sempre stato convinto che avessero preso il riff di Speedball paro paro da Demon degli Entombed. In Mi manca l’aria ci sono dei passaggi vagamente slayeriani e addirittura un tentativo di growl. Con Eta Beta (dove pure c’è un pezzo col growl) andarono ancora più oltre ma diventarono meno pop. Francesco Renga se ne andò. Li vidi dal vivo col nuovo cantante e ovviamente non era più la stessa cosa.

Alcuni anni dopo, durante un Capodanno a Castelsardo, io e William beccammo Renga che cantava in piazza. A fine concerto lo avvicinammo insieme a un tizio di Tula, subito soprannominato Be Bop A Tula, il quale sosteneva che la nonna di Renga fosse del paese suo. Non mi ricordo i dettagli della conversazione perché ero troppo ubriaco ma mi sembrò una brava persona. Dico Renga, non Be Bop A Tula.

Quante volte ho cantato questa in vita mia non si sa:



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