(italianoChitarra raccoglie i piùdi5menodi10 dischi italiani a cui ognuno di noi è più legato affettivamente)
MORTUARY DRAPE – Tolling 13 Knell (2000)
Ditemi voi che bisogno c’è dei grim & frostbitten gay bar quando ci sono loro. Dal Monferrato (Blut und Boden) con furore. Una decina d’anni fa vidi Walter benedire la folla con il Barbera rituale all’Indian Saloon. Quella sera – oltre a un memorabile concerto a un Black Celtic Summit a Biella, in cui toccai il culo di uno sconosciuto convinto di fare uno scherzo a un amico e per poco non fui linciato – capii che sarebbero stati il gruppo della mia vita. In realtà avrei potuto parlare di qualsiasi album, perché sono tutti bellissimi tranne l’ultimo. Magari uno dei primi, ma ormai sono tutti diventati filologi del nekrokvlt e sanno tutto sui risvolti psicologici della prima versione di Necromancy, quindi tanto vale prendere Tolling 13 Knell che non se l’è mai cagato nessuno. Io non ho mai capito bene il perché, forse perché è troppo recente (1999 o 2000, non ricordo) e quindi non è abbastanza kvlt. Ma in ‘sto disco c’è di tutto. Ci sono dei pezzi quasi prog e dei pezzi in cui Walter canta in falsetto, oltre che alle solite cavalcate (scusate il luogo comune) thrash e alle atmosfere acide che sanno di scantinato di Alessandria e di casse da morto scoperchiate. Tolling 13 Knell è anche il disco del ritorno del primo bassista, Without Name, che ne fa di tutti i colori insieme all’altro (sì, due bassi) di cui al momento non ricordo il nomignolo. Dite quello che volete, ma a me, quando sento Walter che se la prende con il “Polach Pope” (sì, “Polach”) nelle strofe di Liar Jubileum, mi viene tanta nostalgia di casa. Ora se ne vanno pure a fare da headliner su uno dei palchi del Maryland Deathfest. Chapeau.
INCHIUVATU – Cristu Crastu (1994)
Sono troppo giovane e sono arrivato troppo tardi al black metal per vivere le gioie del tape trading e delle lettere con i caproni fotocopiati. Però Michele (non sono mai riuscito a chiamarlo Agghiastru) è stata l’unica persona del giro black a cui ho scritto lettere fotocopiando la copertina di Hvis lyset tar oss. Avevo quindici anni. Dopo un annetto di comunicazioni epistolari mi spedì finalmente la videocassetta Cristu crastu, che conteneva i video amatoriali di altrettanto amatoriali versioni di pezzi che sarebbero poi finiti su Addisiu. Ricordo poco di quelle immagini, salvo quelle – credo – della title track. Una mano ignota (suppongo la sua) posizionava delle figurine del presepe sotto un albero, per poi pisciarci sopra. Non so cosa ne pensi oggi che fa il cantautore, ma non si può dire che il risultato non fosse ruspante. Poi quei pezzi finirono su quel capolavoro che è il primo album di Inchiuvatu, e il resto è storia. Non so se quella videocassetta valga qualcosa, ma se qualcuno ci è affezionato e vuole farmi arricchire, si faccia avanti.
IL SEGNO DEL COMANDO – st (1997)
Quando li scoprii fu una doppia rivelazione. In primo luogo musicale, che mi portò in breve tempo a scoprire tutto il vario “dark sound” – espressione che non ha mai voluto dire niente – di Atomic Rooster, Amon Düül, Arzachel, Black Widow, Necromandus, e poi tutta quella roba della Black Widow tipo Standarte, Abiogenesi, Gian Castello, Universal Totem Orchestra (in ordine rigorosamente sparso e dimenticandone molti). Una rivelazione simile la ebbi anni più tardi con Jacula, ma non fu così intensa. La seconda rivelazione fu che pure l’Italia aveva dei posti segreti, che la città che pensavi piena di centurioni burini va in realtà letta in chiave esoterica, che se la ragione è una lanterna sulla strada, forse è la stessa luce che ti acceca. In pochi mesi mi procurai lo sceneggiato omonimo e tutti i vari Malombra , L’amaro caso della baronessa di Carini, Ho incontrato un’ombra, Il fauno di marmo, Ritratto di donna velata e via dicendo. Per un periodo ero talmente in fissa con Il segno del comando (lo sceneggiato) che passai un’intera vacanza a Roma, insieme alla mia ragazza del tempo, a fotografare i portoni di Trastevere cercando i luoghi delle riprese. La cosa fece parecchio arrabbiare Giordano, un migliore amico mio e di Ciccio, e la poverina mi scaricò poco dopo. Ma che me ne fotteva. Io ero stato sui luoghi del Segno del comando. Sul disco c’è poco da dire, se non che è il più bell’album prog italiano degli ultimi vent’anni. Poi si sono un po’ persi (il secondo disco è l’ombra del primo) e infine sciolti. Ora pare che Diego Banchero voglia riformare la band, e non so se essere felice o meno della cosa – si sa come potrebbe andare a finire.
NECROMASS– Abyss calls life (1997)
Quando li vidi dal vivo alla Dracma, sarà stato il 1997, il black metal mi faceva ancora paura. Poi, quando li vidi scendere dal palco e dare bacino bacetto alle pischelle che erano venute a vederli, sentii che qualcosa non quadrava. Qualche settimana dopo ebbi una rivelazione alla fermata del 38 di piazza Rivoli, mentre nel walkman andava The Call of the Wood (altro gran disco di cui avremmo potuto parlare): “e se fossero tutti un branco di paraculi?” Alla domanda non so ancora rispondere, ma questo disco è uno dei capolavori più sottovalutati della storia del black metal. O forse è solo colpa della Dracma e della sua distribuzione che non arrivava più in là di Volpiano. Fatto sta che in questo disco si SPERIMENTAVA, poche palle, in un’epoca storica in cui lo facevano solo i Ved Buens Ende. Poi dieci anni dopo si sono messi tutti a fare il post black metal e a credere di aver scoperto qualcosa, mentre invece era solo acqua calda dell’acquedotto di Firenze, da dove i vari Bellotti Cordoni e Pecorini (fu molto bello leggere i loro cognomi accanto alle facce pittate sul retro della cassetta) si erano abbeverati un decennio prima.
WOPTIME – Live a El Paso (2002)
Li scoprii tardi, più che altro perché sapevo e so tuttora troppo poco del loro genere. Ma mi sono piaciuti subito, più che altro per i testi e il physique du rôle del loro cantante, Saverio, che ora è diventato la guida spirituale di tutti noi a Metal Skunk. I Woptime li ho amati in palestra, soprattutto quando ero incazzato, e mi hanno spesso aiutato a ricordare che leggere troppi libri fa male. La qualità del live allo storico centro sociale torinese non è granché, ma almeno contiene tutti i pezzi fondamentali. Io sono molto grato a Saverio, e – lo dico senza alcuna ironia – un po’ lo ammiro, perché ci vogliono due palle così per sostenere tesi come quelle di Rispetto o Puerto Escondido. Io, con tutta la buona volontà, non ci sarei mai riuscito.
270 BIS – Incantesimi d’amore (2000)
La musica alternativa – o rock identitario che dir si voglia – è forse la mia unica vera perversione, quella che non vuoi che sappia la mamma e il datore di lavoro. Ma da quando persi la verginità (so che non fraintenderete) sul sedile anteriore di una Mini in compagnia di Emanuele, un altro migliore amico mio e di Ciccio (è sempre dai migliori amici di Ciccio che vengono i mali), è stata una gara a procurarsi i vari Massimo Morsello Amici del vento Compagnia dell’anello Francesco Mancinelli Skoll Hobbit SottoFasciaSemplice Non Nobis Domine Insedia e tantissimi altri. I 270 bis li ho sempre preferiti a tutti, anche e soprattutto per la parabola del loro cantante. In poche parole, è la storia di un ragazzo che sta in Terza Posizione, scappa a Londra per evitare il gabbio, poi torna in Italia, si fa la galera, poi esce, fonda una band, scrive testi come quelli di Claretta e Ben e Bomber nero, poi si candida con AN in Abruzzo, diventa senatore della Repubblica, un bel giorno decide di scaricare Fini e di seguire Berlusca nel PDL, e ora è direttore del Secolo d’Italia. Controllate, è tutto vero: Marcello de Angelis, al vostro servizio. La cosa è talmente paradossale da essere sublime. Io sogno che un giorno lo chiamino a fare la rassegna stampa di Radio 3, così che possa telefonargli e chiedergli: “senatore, ma lei che è uomo delle istituzioni, come si pone di fronte a testi come «Guardia guardia che cazzo ti guardi / che cazzo ti guardi guardia?»” C’era un periodo in cui testavo tutte le mie potenziali donne con la canzone Roma LXXVII E.F. Le invitavo a cena, poi sul più bello la mettevo su e osservavo la reazione. Se si schifavano, venivano scartate. L’ultima si è salvata solo perché è francese e all’epoca non sapeva ancora l’italiano. Ora so che ve lo chiederete, ma vi assicuro che ho sempre votato a sinistra e lo faccio tuttora. Ma nel buio del mio lettore mp3, la cartella “musica alternativa” non me la toglierà nessuno. (Giuliano D’Amico)
