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Da Sheepdog a Bob Reid: i RAZOR di “Shotgun Justice”

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Le cosa, almeno all’apparenza, ha davvero poco senso. Ma quando è uscito l’album dei Voivod, il mio preferito dello scorso anno, mi venne in mente di scrivere qualcos’altro sul metal canadese. Naturalmente volevo buttarla sul thrash metal come spesso faccio. Niente Annihilator però, dato che c’ero già passato tre volte, due delle quali in occasione di alcune delle peggiori cose mai scritte da Jeff Waters.

I nomi che mi sono venuti in mente di getto erano quelli di Razor e Sacrifice, lasciando momentaneamente da parte gli Exciter ed i meno conosciuti Dead Brain Cells. Ah, a proposito di questi ultimi, se vi piacciono gli album con il basso che sovrasta tutto, non potrete assolutamente farne a meno. Poi c’erano gli Slaughter di Strappado, ma quelli finiranno a diritto in una puntata de Le delizie dello scantinato. Il marcio che rasenta il sublime: basterebbe e avanzerebbe per descrivere Strappado. Avete appena visto quanto sia partito male e fuori tema, quindi l’articolo su Razor e Sacrifice momentaneamente riguarderà soltanto i primi, anche solo per evitare che vada avanti per una quindicina di pagine partendo dalla prima volta che Stace McLaren, alias Sheepdog, ha costruito una casetta sull’albero.

“I Razor erano gli Slayer canadesi”, questa è la risposta che vi sarà data se fermerete una signora anziana al mercato ortofrutticolo, o se rivolgerete la domanda a un ambulante che prepara gli hot dog. La cosa non è per niente sbagliata, ma ovviamente va precisato quanto i californiani andranno avanti in eterno con l’ultimo tour d’addio, in preda alle date sold out, mentre i Razor si occuperanno di una silenziosa quanto sporadica attività live, così come fanno da circa un ventennio, guardandosi bene dal pubblicare altro materiale in studio dopo averci provato con Decibels nel 1997.

I primi due erano molto belli, uno speed metal particolarmente aggressivo per l’epoca, alimentato dagli Slayer ma sufficientemente melodico nel gusto da richiamare certi aspetti della N.W.O.B.H.M.. Show No Mercy era assolutamente dietro l’angolo, ma se Show No Mercy era il cane, Evil Invaders era lo stesso animale dopo aver contratto la rabbia. Stace McLaren – a proposito di cani, dato che si faceva chiamare Sheepdog – era l’ingrediente segreto di quei Razor: teatrale, espressivo, dinamico. Il solo urlo iniziale di The Marshall Arts da Violent Restitution è necessario ai fini di volergli bene per sempre. Gli ultimi tempi di Stace McLaren dentro ai Razor furono molto altalenanti: Malicious Intent segnò il passaggio verso un thrash metal di maggiore spessore, Custom Killing semplicemente non mi piacque per la sua scelta di sperimentare dalle parti sbagliate. Probabilmente si trattava del loro peggior album dei tempi d’oro. E poi si arriva al periodo di cui ho intenzione di parlare. Violent Restitution – in Giappone circolava addirittura un rarissimo split con gli Hobbs Angel Of Death – era un bell’album, forse un po’ lungo, fatto sta che in seguito ad esso, Stace McLaren avrebbe mollato la band. Finì per un breve periodo negli Infernal Majesty, altro gruppo della scena canadese di cui ho già scritto su queste pagine. A proposito, il loro None Shall Defy era bellissimo, e se non l’avete, rimediate prima possibile. Uno come Sheepdog, ovviamente, non avrebbe parteggiato per l’opinione del sottoscritto: l’orientamento al satanismo di Kenny Hallman e compagnia bella mandò il frantumi il loro rapporto prim’ancora che iniziasse, ed il cantante si ritirò dalle scene in maniera del tutto prematura.

I Razor presero al suo posto un certo Bob Reid. Si parte da un presupposto: Bob Reid era un cantante nettamente inferiore al suo predecessore. Inizialmente si difese bene, limitandosi a riproporre uno stile basato sulle metriche caotiche di Tom Araya, e sfiorando in certi casi il plagio. Se lo ascoltate in album più recenti come Open Hostility, appurerete come si fosse messo a fare il verso perfino a Tom Angelripper. Quale era il suo intento? Oggi chiuderemo un occhio, e parleremo soltanto di Shotgun Justice, il mio disco preferito dei Razor. L’album è il classico punto d’arrivo: non si va oltre, ci si può soltanto finire vicini. La superiorità presunta o reale delle prime composizioni della band, come Executioner’s Song, stava soltanto nel fatto che essi suonassero un qualcosa di totalmente differente da ciò che troveremo qui. Shotgun Justice era tutto la sua copertina – peraltro molto brutta – raffigurante un tizio simile alla versione colta da calvizie del Kano di Mortal Kombat. Brani lunghi due minuti e mezzo o poco più, capaci di andare vicini a qualunque cosa presente su Reign In Blood nelle linee vocali di United By Hatred, senza però farti incazzare. Capaci di prendersela con l’hardcore punk di American Luck, riarrangiandolo nella migliore maniera possibile e immaginabile. Ogni tanto qualche rallentamento, che però mai sfociava in una prevedibile parte centrale mid-tempo: facevano piuttosto finta, per poi ripartire subito ad egual velocità, o ad una maggiore. I Razor che ti lasciano senza respiro, quelli già impreziositi dalla rinnovata sezione ritmica che debuttò su Violent Restitution. Quest’ultimo la versione più ottantiana e meno corposa di Shotgun Justice. Godete con l’opener Miami e procedete nel viaggio, non ve ne pentirete affatto: garantisce Dave Carlo, una autentica macchina da riff, l’unico reduce dello storico EP Armed And Dangerous. La prossima volta tocca ai Sacrifice, tanto per restare in tema di cantanti con la soda caustica in gola. (Marco Belardi)


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