Occhialino fulgido su un sorriso perennemente stampato e una bazza che non finisce mai. È Thomas Stauch, meglio conosciuto come Thomen, che per il sottoscritto rimarrà il solo batterista dei Blind Guardian al punto di non sapere come si chiami l’attuale.
I Blind Guardian vogliono dire tre cose: lui, ovvero il martello che ne manteneva l’impronta più metallica, gli intrecci chitarristici a gestire completamente le melodie, e infine, la voce possente e rauca di Hansi Kursch. Non vogliono dire altro, e il solo pensare a bardi, menestrelli, pan di via sbriciolato e orchestre varie mi fa sentire male, anzi malissimo. Comunque molto meno di Roberto, che ha dovuto affrontare il nuovo singolo e scrivere pure qualche riga su quella merda. I Blind Guardian dei quali ho ricordo sono un gruppo capace di suonare un power metal bello pesante, e dal rendimento impressionante perlomeno fino a Imaginations From The Other Side. Il motivo per cui adoro il loro ex batterista non è la sua straordinaria tecnica, poiché a me, innanzitutto, piace quando un musicista lo riconosci subito, e con lui era esattamente così. Bombardamento costante in battere, passaggio improvviso in levare nelle parti veloci e con una cazzata del genere era come se Thomen riuscisse a porre sempre e comunque l’accento sulla strofa o sul bridge che stava arrivando in pompa magna. La sua firma era grosso modo quella, oltre alle marce sul rullante fatte con il batticarne: grazie a piccoli espedienti del genere, Thomen era uno che partiva e non voleva saperne più di fermarsi.
Quando ripenso a lui nei Blind Guardian è automatico che ripensi ad Anatolij Bukreev, alpinista kazako di alto rango che ebbe la sfortuna di lavorare come guida per Scott Fischer nella disperata ascesa all’Everest del maggio 1996. Bukreev giunse in vetta alla quota di 8848 metri senza l’ausilio di ossigeno, come da consuetudine, e i piani di discesa risultavano in netto ritardo perché più spedizioni congiunte stavano tentando di portare lassù un assortito mix di incompetenti, ricconi in cerca di fama e buoni scalatori. Fra cui Rob Hall, guida esperta della Nuova Zelanda, e Jon Krakauer, giornalista ed autore del celebre Nelle terre estreme. Anatolij vide che dalle vallate sottostanti stava provenendo un pericoloso fronte temporalesco, qualcosa a cui difficilmente sopravvivi, a quelle quote. E in attesa che i ritardatari toccassero il fatidico numero 8848 per la consueta foto di rito, si tolse dai coglioni anziché portare a compimento il proprio lavoro: questo per problemi di pianificazione, di collegamento radio con Scott Fischer, ma soprattutto per il freddo accentuato dall’assenza di collegamento ad una bombola e perché glielo stava suggerendo l’istinto. Bukreev non solo raggiunse sano e salvo il Colle Sud e l’ultimo campo avanzato, ma si fece un tè caldo, e mentre la tempesta là fuori devastava tutto quanto – sempre guidato dalla razionalità – tentò ed effettuò alcuni salvataggi nelle zone entro le quali gli era possibile farlo. La guida Andy Harris, che si spinse più in alto, non fu più ritrovata, e così morirono anche Scott Fischer e Rob Hall, oltre a una decina di portatori sherpa e clienti che avevano pagato all’incirca settantamila dollari per partecipare alla spedizione.
Anatolij Bukreev morì un anno più tardi sull’Annapurna, travolto da una valanga alla quale sopravvisse soltanto il nostro Simone Moro. Esattamente come Bukreev, Thomen Stauch doveva sentirsi in vetta al mondo quando partecipò alla registrazione di uno dei più begli album power metal di sempre, Imaginations From The Other Side. E di lì a poco, avrebbe iniziato a sentire puzza di merda. Condivido la sua scelta di scappare via. Condivido la rinuncia alla fama garantita. Peraltro, con gli anni, io stesso avrei percepito il netto ridimensionamento dei Blind Guardian da gruppo trainante a nume tutelare che neanche in solitaria è più in grado di tenere a galla una realtà in cui stavano affondando più o meno tutti, Stratovarius inclusi. Ma Thomen, amante terminale della musica, nonostante i problemi alle vertebre cervicali e nonostante quella pesante rinuncia, si mise a farsi i cazzi suoi, il che rappresenta la soddisfazione principale per ogni musicista che ami la musica, e che non la intenda semplicemente come il lavoro che ti fa arrivare sano e salvo a fine mese. La discesa di Thomen dalla fama di Nightfall In Middle Earth, passando per quel A Night At The Opera che proprio non gli andò giù – e non riesco in alcun modo a dargli torto – dopo il cameo negli Iron Savior iniziò con Dreamland Manor dei Savage Circus, sempre assieme a Piet Sielck oltre che a un tizio, di cui onestamente mi sfugge il nome, che in ogni modo si sforzava di riprodurre lo stile canoro di Hansi Kursch (era il cantante dei Persuader, maledetto toscano infame, ndbarg). Così come le chitarre ricercarono i medesimi intrecci firmati Siepen ed Olbrich, i Savage Circus rappresentarono l’idea, di Thomen, di trovarsi ancora a bordo della stessa nave sebbene non fosse palesemente così. Ma almeno si stava facendo gli affaracci suoi, e, per quanto la sua band non consistesse in niente di trascendentale, né recensendo un buon album dei Savage Circus né l’altrettanto valido debut dei Serious Black – al quale Thomen partecipò – si rischierà un malore come è accaduto a Roberto col nuovo singolo dei Blind Guardian. Dove la parafarmacia non basta più, ci vogliono le bombe di ibuprofene. (Marco Belardi)