Delle riviste accumulate presso la mia vecchia abitazione scandiccese, o meglio, dei ricordi di una vita metallara costruiti edicola dopo edicola, feci una pira sacrificale che trasudava profonda ingratitudine. Per fortuna oggi mi ha dato una mano il Cortesi, la cui abitazione la immagino più o meno come l’enorme magazzino in cui, al termine de I predatori dell’arca perduta, viene stipato il prezioso ritrovamento del professor Jones. Scaffali strabordanti giornali di settore, dei quali egli conosce a menadito ogni riga scritta anche un quarto di secolo fa.
La sequenza di immagini che vi propongo è estratta da un vecchio Metal Shock, il numero 274 di novembre 1998, e rappresenta benissimo quello che potevamo sapere di un disco di imminente uscita fino a poco più d’una quindicina di anni fa.

Fonte: Metal Shock numero 274, novembre 1998
Uscirà un nuovo album dei Rotting Christ, mi suggerisce la rivista. Mancano più o meno cinque mesi, ma questo dettaglio sono io a immaginarlo: è novembre, e il trafiletto me lo ipotizza per i primi mesi dell’anno nuovo. Non significa di per sé un cazzo, e non è un male in senso assoluto. Si tratta piuttosto di un fattore che mi terrà attivo su quel determinato argomento, e potrò solo supporre che nelle prossime uscite della rivista arriveranno gli altri pezzi del puzzle, in un’ulteriore e ultima comunicazione: titolo, data ufficiale, e, solo se lo spazio sarà sufficiente, tracklist e copertina. Il resto lo farà la mia immaginazione, ponendo il caso che io sia un fan dei Rotting Christ dell’era di mezzo: che cosa avranno cambiato da A Dead Poem?
In parole povere intorno al Natale del 1998 mi esploderà il cazzo per l’impazienza, e arriverò in negozio provato e frastornato, con davanti un oggetto del tutto ignoto. Neanche questo è un male in senso assoluto: a quei tempi non volendo rischiare c’erano già il sito Century Media per le preview in mp3, oppure Napster, e se eri fan e soprattutto ti piaceva, alla fine compravi. Oppure trasudavi anche tu profonda ingratitudine. Inoltre, sempre a quei tempi c’era già un grosso punto di collegamento con oggi, Internet, e l’era delle cassettine duplicate per gli amici – e dagli amici – era tramontata da pochissimo. L’ignoto, inteso come concetto, aveva il duplice compito di sollevare in maniera esponenziale il cosiddetto hype, e in seconda battuta, di recare il messaggio anche a coloro che, in fondo, Sleep of the Angels non l’avrebbero mai atteso neanche alla porta di casa propria. Poche informazioni ma necessarie: ecco com’era la comunicazione musicale qualche anno fa.

Fonte: Nuclear Blast web official
Passiamo al bombardamento mediatico al quale sono stato sottoposto in tre o quattro mesi d’attesa del nuovo Blind Guardian. Uno strumento come Spotify ha permesso alla band tedesca di lanciare uno o più singoli, e di conseguenza già saprete con certezza come l’album suona, come la band non suona più, e un sacco di altri piccoli dettagli che non molti anni fa costituivano la sorpresa nonché l’attesa stessa della sorpresa finale, Napster e sito ufficiale esclusi. Fra le varie comunicazioni troveremo nozioni di tipo commerciale, su come effettuare il pre-order, e svariati trailer o documentari. “Perché si sono così diffusi trailer e documentari per pubblicizzare l’uscita di un album?”, mi domando sempre. Rientro sulla pagina e c’è perfino un’ottava mail circa un e-book del quale non m’importa niente.
Credo che questa pubblicità a mitraglia sia una diretta responsabile dell’approccio talvolta (anzi: spesso) disamorato che oggi abbiamo nei confronti degli album.
Per un attimo non metterò in dubbio che il sistema adoperato dalle grosse etichette discografiche, e tramandato da quelle di maggior successo alle altre, sia il più corretto e funzionale. Quale ingrediente le porta a comportarsi così, in sua mancanza? La qualità oggettiva della musica, quella che non si discute. Un disco genererà facilmente hype in un momento nel quale le uscite di alto livello si susseguono, e tu, consumatore, avrai bisogno giusto di una frase per focalizzare l’attenzione su un prodotto che vedrà la luce tra mesi, basandoti su una manciata di dettagli. Vendi roba buona? Diffondi un messaggio che colpisca, ma uno soltanto. La pubblicità diventa martellante nel momento in cui si ha la necessità vitale di vendere fumo, e la concorrenza diventa una mera scusante con cui giustificare la vendita di cose livellate verso la sufficienza risicata. Pubblicizzare diventa così arroganza, diventa spavalderia, diventa la parola “buoni” su una busta di insipidi biscotti dietetici, che mangerai perché sei in sovrappeso e mai perché siano effettivamente migliori dei Baiocchi. Quella scritta è una presa per il culo, punto. E quindi cambiano i metodi, come nel caso di etichette che detengono il 99.788% dei gruppi mondiali che si permettono pure il lusso di mettere l’accento sul documentario fatto con un cellulare e due husky che trainano una slitta con sopra una GoPro, da qualunque gruppo scadente o non scadente che volesse uniformarsi all’idea di fare un documentario perché oggi ci gira così. Ma che c’è realmente da dire, in un album, fatta eccezione per la musica stessa? Quest’ultima dovrebbe comportare il grosso della pubblicità.
La logica di superare la famosa e vasta concorrenza finisce quindi per suggerire vie scellerate come quelle che hanno avvolto con tutto, tranne che con l’amato ignoto d’un tempo, il nuovo, pompatissimo, sinfonico album dei Blind Guardian e tanti altri prodotti che, pur non costando un milione di euro, ci faranno ugualmente schifo. E credo che il sovradosaggio di pubblicità finisca col diventare nocivo nel momento in cui viene applicato a un prodotto il cui reale valore è inferiore all’hype che si tenta di creargli attorno. Prendi un album di una band con una fanbase ridotta, ma costante, metti in giro giusto una frase e la fanbase stessa impazzirà all’idea di ascoltarlo. Prendi un lavoro scadente fatto da cinquantenni che intravedono la pensione, fallo assomigliare a qualcosa che ci serve davvero, e non finiremo neppure con l’ascoltarlo perché sarà il tam tam mediatico, in prima battuta, ad avercelo fatto venire a noia. Otto mail, otto messaggi pieni di un bel niente sulla nuova disgrazia dei Blind Guardian? Otto mail, otto vaghi messaggi riguardo due ore di Hansi Kursch che sbraita sulla colonna sonora di una produzione Netflix senza immagini? (Marco Belardi)