“Sono nato nel 1990, mi dichiaro prigioniero politico!”. Scherzi a parte, è vero, sono del ’90 ma molto spesso mi sono sentito di un’altra epoca, un’epoca non molto antecedente alla mia, quella diciamo dei bambini nati a cavallo tra la fine dei ’70 e l’inizio degli 80’; i… Primi Millennials? Quasi Millennials? Proto-Millennials? Oppure i ritardatari della Generazione X? Vabbè, comunque, quella roba là.
Questa disforia di generazione mi prende molto più spesso di quanto capiti a un normale ragazzo della mia età, e, siccome ve lo state chiedendo tutti (in questo momento vi immagino con gli occhi sgranati, incollati allo schermo del PC e con un tremito incessante lungo la spina dorsale che manco un fan degli Iron Maiden quando sta per uscire il nuovo Best Of con due bonus tracks inedite e Run to the Hills live at Molo di Cesenatico), vi dirò anche il perché: perché mi ammazzo di cartoni e di sigle vintage.
Nostalgia di epoche mai vissute? No, è che erano migliori, PUNTO. I cartoni e le relative sigle.
E poi capitemi: quando ero piccolino io si stava affacciando prepotentemente sulla scena un certo Giorgio Vanni: la versione maschia, borgatara e un tanto al chilo di Cristina D’Avena (artista più che dignitosa, ottima mestierante, ci tengo a precisarlo perché so che stavate già lì con le pietre in mano per averla canzonata nel titolo ad effetto del pezzo… Dovete avere pazienza, ragazzi, ecchecazz!). Dicevo, è normale quindi che tra i tunz tunz, una marea di inglesismi improbabili e quell’onnipresente atmosfera da discoteca est-europea, io abbia cercato la poesia altrove, mi sembra chiaro, si chiama sopravvivenza.
Ecco, io non so se I Cavalieri del Re siano quella poesia che andavo e vado tutt’ora cercando, ma sicuramente smuovono dentro di me qualcosa che ha molto a che fare coi concetti di intimità, fierezza e, perché no, fomento.
Trattati come oggetti d’antiquariato da alcuni, sconosciuti ai più, questi cinque paladini del Bene, nemici giurati del Male (i ritornelli brutti), hanno partorito l’85% delle sigle dei cartoni animati giapponesi ’70 e ’80, quelli che hanno tirato su i quarantenni di oggi; una generazione non fortunatissima, ben poco invidiabile per molti motivi, ma non per questo.
Una famiglia di cavalieri: Riccardo Zara, sua moglie (l’italo-brasiliana Clara Serina), sua cognata (Guiomar SERENA Serina, un po’ più di fantasia non avrebbe guastato) e il piccolo figlio di Riccardo e Clara, Jonathan Samuel. Praticamente una tavolata di Natale che, in un brevissimo lasso di tempo (’81-’86, poi il prematuro scioglimento, dovuto – parrebbe – a divergenze interne alla coppia regale), invece di giocare a tombola e ruttare il torrone, ha preferito impegnarsi in qualcos’altro, qualcosa di decisamente più nobile e importante.
Dopo una reunion negli anni 2000, posticcia e fuori tempo massimo (scrissero qualche sigla per nuovi anime, tra cui i Digimon, ma non furono mai utilizzate), di loro oggi ci rimane solo qualche apparizione dal vivo nei vari raduni di nerd patentati dello stivale, quasi mai tutti insieme (Clara solista mi risulta essere la più attiva in questo senso, ma non vi aspettate tour da 800 date, mica è Zucchero), e una ristampa autocelebrativa ogni tanto, perché la nostalgia è un sentimento sano, e noi di Metal Skunk lo sappiamo bene.
Per quel che riguarda la proposta musicale, sembra davvero di ascoltare dei cavalieri, di nome e di fatto: avevano un’eleganza formale negli arrangiamenti, un gusto squisito nelle liriche, ma sapevano anche correre, galoppare, colpire, emozionare.
Non parlerò del singolo Lady Oscar (circa un milione di copie vendute nel 1982) e neanche dell’Uomo Tigre (che credo stia tuttora uscendo in edicola, in una serie di splendidi Dvd), sarebbe inutile, sarebbe come discutere di Padre Pio con la nonna pugliese o di Totti con un romanista, ma delle altre canz…. Ehm, scusate, GEMME, specie quelle meno note, assolutamente sì, devo farlo (non tutte eh, sennò famo notte). E sì, perché no, ricorrendo anche all’odioso sistema del track by track, se necessario.
SASUKE: “Sei furbo, sei forte, sconfiggi la morte!”. Uno dei primi ricordi che ho di me stesso sono io che distruggo la bouganville della casa al mare cantando come un pazzo questa sigla; e mia madre che ride e mi guarda pensando a che figlio degenere stava tirando su. Eleganza e fomento.
IL FICHISSIMO DEL BASEBALL: Questo giuro di non averlo mai visto (com’è? me lo consigliate?) ma quel fichissimo usato come un sostantivo mi manda ai pazzi. Ai posteri, anche solo per questo.
CALENDAR MEN: Capolavoro. Niente da dire. Questo brano non sfigurerebbe in un ottimo album power metal; accattivante, incalzante, da urlare alzando birre e corna al cielo, ondeggiando la criniera di tanto in tanto. Se la conoscete, ripassatela. Se non la conoscete, ascoltatela, ma occhio agli effetti indesiderati: non ve ne libererete più.
RANSIE LA STREGA: Altro capolavoro. Ne parlavo con un mio amico più grande proprio l’altro giorno (lui ‘ste cose sì che l’ha vissute in tempo reale, ‘sto sculato!). La sigla conclusiva, con la protagonista che, seminuda/avvolta in un bel mantello, appare e scompare su sfondo nero, e la calda voce di Clara Serina a suggellare il tutto, è una delle cose più poetiche, belle e se vogliamo erotiche mai apparse su tubo catodico. Un senso di intimità incredibile. Un attimo di Paradiso. Un piccolo miracolo audio-visivo.
LA BALLATA DI FIORELLINO: Qui siamo veramente a livelli di nerdismo acuto. Devo curarmi. Ma mentre vado a prendere la medicina, fatevi un favore e ascoltatela. Orecchiabile, potente, corale. Provate ad ascoltarla immaginandovi i Nightwish intenti ad allenarsi per il prossimo mega-torneo di ippica. Ah, e date anche un occhiata all’anime: non è affatto male.
YATTAMAN: Del cartone ho un ricordo sbiaditissimo, ma la sigla è immortale. Non come Calendar Men (che è la Beyond the Black Hole delle sigle italiane), ma quasi.
GIGI LA TROTTOLA: L’anime che ha svezzato una generazione di pervertiti irrecuperabili non poteva che avere una sigla destinata a rimanere nella storia come un classico istantaneo. Così è stato, così rimarrà nei secoli. Amen. Un tormentone che si è protratto nel tempo, tanto che me lo sono beccato pure io: non c’è ex bambino in Italia che non abbia canticchiato, al parco oppure sotto doccette al mare: ” La tua città, ti chiama già, GIGI LA TROTTOLA!” – esagerando i decibel a non finire quando arrivava il nome del protagonista.
Per quanto riguarda noi del Lazio il merito di aver avuto un’infanzia decente, grazie anche a sigle intramontabili come questa, va soprattutto a Super3, l’emittente romana per ragazzi (l’equivalente di TeleNorba per i pugliesi e non so quale altro canale nelle altre regioni, fatemelo sapere però, son curioso). Ma ve la ricordate la capitana Sonia Ceriola e il suo angolo della posta? E il suo inseparabile amico robot Birillo? Figure che all’epoca, per noi bambini, contavano più del Papa e di Mario Draghi. Oggi lei ha una tabaccheria a Latina e lui sarà finito rottamato in qualche discarica alle porte di Roma, ma nessuno potrà mai portarceli via dai nostri ricordi, mai, né la crisi della televisione, né l’infame cambio dei tempi, né quello stronzo X che ha permesso che tutto questo avesse una fine.
Va bene, mi fermo qui.
Sette brani. Sette come I Magnifici Sette.
Ce ne sarebbero almeno un altro paio di cui vorrei parlarvi, ma non voglio privarvi del piacere della scoperta. Sì, quello stesso piacere di quando le cose si scoprivano per caso, accendendo distrattamente la tv. (Gabriele Traversa)